Una nota azienda di somministrazione di alimenti e bevande ha ritenuto per la seconda volta di investire su Tricase. Per farlo ha recuperato un locale in centro città, in passato adibito alla stessa attività ma da tempo in disarmo. Controcorrente in tempi pandemici, specie per questa tipologia di esercizio commerciale che maggiormente soffre lockdown e costi di esercizio per l’adeguamento alle norme anti contagio.
Proprio a causa di tali misure lo stazionamento all’interno è contingentato, ma vi pone rimedio la fruizione degli spazi esterni attigui. Ovviamente l’utilizzo del suolo pubblico presuppone un regolamento consiliare o quantomeno una delibera di giunta comunale che fissi i criteri di base per contemperare le esigenze del privato con quelle dell’utente della strada, specie se con difficoltà motorie. Un provvedimento di tal genere di carattere squisitamente politico è altresì necessario per determinare in modo uniforme tipologia, quantità e dimensione delle attrezzature dedicate ed eventuali vincoli ed obblighi connessi.
Ebbene il tecnico dell’azienda in questione non rinviene nulla di ciò sul sito del Comune. Recatosi personalmente apprende che, in assenza di un regolamento del Consiglio o di un atto di indirizzo della Giunta, le domande di occupazione di suolo pubblico non possono essere evase. Viene invitato ugualmente a protocollarla e ad attendere.
I giorni passano ed il locale apre. Il preposto, dopo un paio di giorni di attività, convinto di avere il nulla osta comunale sulla base della planimetria prodotta dal tecnico e complice la bella giornata, sistema cinque tavolini sul marciapiede proprio a ridosso della struttura, in una posizione che non impedisce affatto il transito pedonale. Lo fa anche per evitare pericolosi assembramenti all’ingresso del locale. Nella tarda mattinata sopraggiunge la Polizia Locale che (giustamente) sanziona l’azienda ed altri esercizi commerciali nei dintorni per la stessa ragione. Gli avventori, fra imprecazioni di ogni tipo, vengono invitati ad alzarsi ed i tavolini rimossi.
Pare che a denunciare “il misfatto” sia stato proprio un consigliere comunale…
L’azienda (come tutte le altre del settore) oltre alla sanzione, paga in termini di disservizi, di impiego di personale e di previsioni di budget; la Città in termini di immagine e di promozione, oltrechè di mancati introiti per la tassa di occupazione di suolo pubblico e per l’indotto in genere.
Si dà il caso che la medesima azienda ha oltre una ventina di punti commerciali sparsi in regione ed anche fuori, dove le esperienze vissute sono di tutt’altro tenore. Al primo chiodo infisso, fa visita l’assessore al ramo o altro rappresentante istituzionale accompagnato dal funzionario comunale, si presenta, ringrazia per la scelta della propria città, consegna ed illustra tutti gli atti regolamentari e propedeutici all’apertura dell’attività ed offre ogni necessario supporto, anche telematico, senza perdita di tempo ed andirivieni vari.
Chi ancora ci crede ed investe nel settore del commercio, non dico che dovrebbe essere coccolato a tal punto, ma certamente non abbandonato ed ancor meno “mazziato”.